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ISSN 2421 – 4132 ONLINE

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  • Numero 3 - Mag - Giu 2019

    Spunti da norme recenti in tema di impresa illecita

    1. Premessa. Liceità della coltivazione, commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L. fra contesto normativo e contrasto giurisprudenziale. Lo spunto di riflessione è nato con l’analisi della l. 2 dicembre 2016, n. 242 per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della cannabis sativa L. La coltura è in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, del consumo dei suoli, della desertificazione e alla perdita di biodiversità.

    Il legislatore chiarisce che la legge si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva n. 2002/53/CE le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del T.U. delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope. Inoltre, tiene subito a stabilire i confini di liceità della coltivazione consentendo lo svolgimento senza necessità di autorizzazione dell’attività per ottenere derivati della cannabis sativa L. da destinare al mercato elencando – senza indicarne il carattere tassativo – alimenti, cosmetici, semilavorati, coltivazioni destinate al florovivaismo. Il coltivatore ha soltanto l’obbligo di conservare i cartellini (per un periodo non inferiore ai dodici mesi) e le fatture di acquisto della semente (per il periodo previsto dalla normativa vigente). Nel rispetto della disciplina europea (regolamento UE n. 1307/2013) il contenuto complessivo di THC (tetraidrocannabinolo) della coltivazione deve risultare, secondo quanto stabilisce la legge, «superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento» in modo che nessuna responsabilità possa essere posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni.

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    Francesca Leonardi