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ISSN 2421 – 4132 ONLINE

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  • Numero 4 - Lug - Ago 2021

    L’allevamento di bestiame nella prelazione agraria

    Con la recente pronuncia, la Corte Suprema è ritornata sul tema dell’allevamento del bestiame quale causa ostativa alla prelazione agraria, nel caso in cui detta attività non sia svolta insieme alla coltivazione della terra. In linea con un orientamento ormai consolidato e seguendo una interpretazione restrittiva della legge n. 590 del 1965, la Corte di cassazione ha ribadito che la qualità di coltivatore diretto, ai fini del diritto di prelazione, deve riferirsi necessariamente a chi si dedichi alla coltivazione della terra, giacché la cura del bestiame, oggetto di un allevamento, può essere soltanto complementare alla concreta attività di coltivazione. In sostanza, il diritto di prelazione (e riscatto agrario) non può essere riconosciuto a favore di chi si occupi, in modo esclusivo o prevalente, del governo e allevamento del bestiame, qualora esso non sia associato ad una attività di vera e propria coltivazione agricola. Nel caso di specie, è stata respinta la domanda di riscatto di un fondo, atteso che l’attore aveva dimostrato nel giudizio di attendere soltanto all’attività di allevamento di puledri, alimentati essenzialmente da fieno e da mangimi acquistati sul mercato, senza che fosse praticata alcuna coltivazione del fondo, utilizzato esclusivamente come sede per l’attività di allevamento.

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    Nicoletta Rauseo